domenica 24 aprile 2022

MIND THE MAP, QUATTRO PASSI NELLA STORIA DELLA GEOGRAFIA



Si è aperta a gennaio e durerà fino a fine maggio 2022 la mostra “Mind the Map” organizzata a Treviso nel complesso “Cà Scarpa” dalle fondazioni Imago Mundi e Benetton Studi Ricerche.

Mind the Map, insieme ad Atlante Temporaneo nella Chiesa di San Teonisto e Terra Incognita alle Gallerie delle Prigioni, sempre a Treviso, avvia il progetto culturale Treviso Contemporanea e ripercorre la storia della cartografia dagli albori della civiltà fino ai giorni nostri. Un viaggio nel sapere umano, con l’esposizione di mappe originali e riproduzioni di tutte le epoche, mappamondi, carte nautiche e atlanti, congiungendo insieme concezioni filosofiche e religiose, scienze astronomiche e matematiche, scoperte geografiche di esploratori e necessità pratiche di navigatori e mercanti.

Il percorso inizia con le prime immagini del globo tracciate a commento delle Etymologiae (la prima enciclopedia della storia, VII° sec. d. C.) di Isidoro di Siviglia, in cui il globo terrestre appare come un cerchio (l’oceano) all’interno del quale i tre continenti (Asia, Africa ed Europa) sono separati da una grande T, formata dalle acque del fiume Tanais (il Don) e dal mare Mediterraneo. L’oriente è situato in alto, perché là sorge il sole ed è perciò la sede del Paradiso Terrestre; in basso l’occidente, dove il sole (e perciò la vita) muore. A sinistra il Settentrione (le septem Triones, ovvero le sette stelle del Grande Carro insieme alla stella Polare da sempre utilizzate per orientarsi) ed alla sinistra “meridies”, ovvero il mezzogiorno. Questa immagine del mondo (detta T in O) dominerà tutta l’epoca medievale, per due ragioni: essa coniuga infatti la tradizione classica greca con gli insegnamenti dei padri della Chiesa. Gerusalemme si pone al centro dell’ekuméne (la terra abitata) ed il Paradiso domina dall’alto tutto il creato. Nello stesso tempo, la mappa si coniuga con la visione geocentrica dominante sin dall’antichità, e con la descrizione del mondo fatta da Cicerone nel “Somnium Scipionis”, un testo andato in parte perduto ma commentato da Macrobio (IX° sec. d. C.). Il testo di Cicerone era in realtà un brano filosofico, non un trattato di astronomia o di geografia, ma in esso la terra, immobile al centro dell’universo che le ruota intorno, è divisa alternativamente in regioni oppresse dal freddo eccessivo o da un eterno calore, in mezzo alle quali si situano le zone temperate ed abitabili. Per il cristianesimo questa coincidenza di pensiero fra i testi biblici, la filosofia e la geografia antica (una terra immota attorno a cui ruotano i pianeti, una zona temperata in cui le sregolatezze e gli eccessi sono mitigati) costituirà il perno intorno a cui si articoleranno tutte le conoscenze future. Così come i greci, anche l’uomo del medioevo concepisce la terra come una sfera, in cui ad un emisfero boreale deve necessariamente contrapporsi una “terra australis”, una zona situata agli antipodi rispetto a quella conosciuta, non ancora esplorata, in cui si trova un’eguale alternanza di zone fredde, calde e temperate, popolate da altri uomini, anche se per i tempi di Macrobio e di Isidoro le colonne d’Ercole (Gibilterra) costituiscono un “non plus ultra”: un limite ed un monito alla tracotanza umana.
Isidoro di Siviglia - Mappamondo


L’insegnamento biblico si coniuga ancora con la geografia, che assume un ruolo pedagogico nelle mappe successive, quelle contenute nei libri dei salmi od esposte nelle cattedrali, come il Salterio conservato alla British Library o la mappa di Hereford, in cui appaiono, all’interno dei continenti Asia, Africa ed Europa (posizionati come nella mappa di Isidoro, ma con un singolare scambio dei nomi) i luoghi sacri e profani citati nelle sacre scritture, dall’Arca di Noé alla terra di Gog e Magog, dalla Torre di Babele alle acque del Mar Rosso. La mostra prosegue con un excursus veloce sulle mappe arabe e cinesi: dalla carta circolare del mondo di al-Idrisi, composta per dilettare il re normanno di Sicilia Ruggero II, ma capace di dimostrare la convergenza fra le conoscenze geografiche latine e arabe, o la carta Kangnido del 1470, la più antica carta proveniente dalla Corea sulla base di un originale cinese dell'inizio del '400, in cui, assai spettacolare, l’Africa assume una forma molto simile a quella che gli europei le avrebbero riconosciuto solo circa trent’anni dopo, grazie al periplo di Vasco de Gama che, dopo Bartolomeo Diaz, doppiò il Capo di Buona Speranza raggiungendo l'India.
mappamondo di Hereford

La mostra contiene poi una grande e variegata quantità di portolani medievali, affascinanti carte nautiche ben più precise e tecniche delle riproduzioni in parte fantastiche delle mappe precedenti. Nella prima carta nautica conosciuta, la carta pisana, così come nelle successive carte di Vesconte, o nei portolani conservati alla biblioteca Bertoliana di Vicenza, i contorni delle coste e delle isole del Mediterraneo o del Mar Nero si fanno estremamente precisi e reali, con i nomi dei principali porti e località sul mare segnati in rosso o in nero a seconda dell’importanza. Si impone l’orientamento nord-sud che ci è più familiare, mentre la presenza di linee che si dipartono dalle numerose rose dei venti sovrapposte alle linee di costa, così come i “metrini” posti ai bordi delle mappe per i calcoli delle distanze, dimostrano l’esistenza di un’evoluta tecnica di navigazione mediante l’uso della bussola e del compasso, frutto delle conoscenze apprese empiricamente dai commercianti catalani, genovesi e veneziani. Nei portolani non appaiono paralleli e meridiani (una metodologia di costruzione delle mappe già elaborata da Tolomeo nel II° secolo d. C., del tutto ignorata fino al XV° secolo), ma l’utilizzo di appositi manuali (la “toleta del marteloio”, o il “tondo et quadro” che appare disegnata nel bordo inferiore di alcune carte nautiche) facilitavano le operazioni di calcolo e di correzione delle rotte.

tondo e quadro






Carta nautica di Piero Vesconte

Dalla fine del ‘400 si affronta per la prima volta in maniera scientifica il problema della proiezione di una superficie sferica su un piano, problema a cui Tolomeo aveva cercato di trovare una soluzione già nel II° sec. d.C. Il suo metodo, basato su una griglia di paralleli arcuati e meridiani convergenti in un unico punto, porta all’abbandono delle mappe circolari anche nel campo geografico, come già avvenuto nei portolani. Nella carta di Tolomeo l’Africa è unita ad un’immaginaria “terra australis incognita” situata agli antipodi, e l’oceano Indiano è un mare chiuso, ma la rappresentazione della sfera terrestre secondo il calcolo della sua circonferenza (fatto da Eratostene nel II° sec. a. C.) induce già a pensare che sia possibile raggiungere l’oriente attraverso una navigazione verso occidente.

A questo punto la strada è aperta per l’epoca delle grandi scoperte geografiche. Sarà Carlo V° a porre nel suo stemma il motto “Plus Ultra”, immagine di un’epoca nuova in cui le esplorazioni per mare impongono un continuo ritracciare e correggere i contorni dei continenti (per esempio nel mappamondo di Enrico Martello), così come appaiono sulle mappe sempre più spesso le bandiere delle nazioni artefici delle spedizioni e delle conquiste: spagnoli e portoghesi soprattutto. Le carte geografiche divengono allora uno strumento del potere, custodite in segreto e spesso trafugate con l’inganno (come il planisfero trafugato a Lisbona da Cantino, una spia italiana, per il Duca d’Este), o , se non manipolate, per rivendicazioni territoriali, come nel caso del mappamondo di Diogo Ribeiro, creato per sostenere il possesso castigliano delle Molucche. D’altronde, si pone qui anche per la prima volta il problema, irrisolto fino alla metà dell’800, del calcolo della longitudine, elemento importante per definire da dove passasse “la Raya”, il meridiano che, secondo il Trattato di Tordesillas, doveva delimitare il potere di Spagna e Portogallo nelle nuove terre. La linea di demarcazione rappresentata dalla “Raya”, ben definita nel continente americano, non lo era altrettanto nella sua parte opposta, proprio per la mancanza di poter calcolare in maniera sufficientemente precisa ed incontrovertibile la longitudine delle molte isole dell’Oceano Indiano.
mappa di Diogo Ribeiro

Carta del Cantino trafugata a Lisbona



A cavallo fra il ‘500 ed il ‘600 l’immagine del mondo si fa più precisa ed insieme perde i suoi connotati fiabeschi: le mappe sono ora disegnate dagli stessi esploratori, come Juan de Las Casas o Giovanni Caboto, mentre nasce e si evolve una nuova professione, quella dello stampatore di atlanti, veri libri d’arte per chi vuole conoscere il mondo senza l’ansia di muoversi dal proprio lugo. Ortelius pubblica nel 1570 il primo Theatrum Orbis Terrarum, ma sarà il successivo secolo degli Olandesi a segnare il trionfo delle pubblicazioni geografiche. Mercatore disegna (utilizzando per la prima volta caratteri italici e non gotici e matrici in rame anziché in legno per la stampa) i suoi mappamondi creati in base alla proiezione cilindrica che prenderà il suo nome: la terra si forma (e si deforma) nel tentativo di creare uno strumento che sia insieme carta nautica e carta geografica. La strada di una separazione necessaria è oramai segnata: le carte nautiche perderanno l’ambizione di voler contenere l’intero mondo e si specializzeranno nella riproduzione di singole parti; le carte geografiche diverranno oggetti da contemplare e collezionare, o simboli di un potere terreno che si crede ultraterreno, come un tempo lo erano le creazioni medievali ricche di stravaganti ed impensabili mostri.
mappamondo di Tolomeo





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